Per partecipare occorre iscriversi in libreria, acquistando il libro di Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia (Einaudi – trad. di Maurizia Balmelli).
Nell’esperienza di ogni lettore c’è sempre l’incontro – spesso casuale, a volte unico – con un libro dall’apparenza innocua, inoffensiva, ma che poi si rivelerà essere una di quelle letture che cambiano la vita, o, quantomeno, ne sconvolgono le più sedimentate convinzioni. Ecco: Vite che non sono la mia è uno di quei libri.
La storia è, come spesso lo sono le storie vere, semplice e terribile. Durante le feste di Natale del 2004, Emmanuel Carrère è in vacanza con la famiglia in Sri Lanka. Sono i giorni in cui lo tsunami devasta le coste del Pacifico: tra le migliaia di morti c’è anche Juliette, la figlia di quattro anni di una coppia di francesi a cui Carrère – accidentale testimone dello strazio di una famiglia – si lega. Qualche mese dopo, al ritorno in Francia, un altro lutto: la sorella della compagna dello scrittore – che casualmente si chiama anche lei Juliette – ha avuto una ricaduta del cancro che già da ragazza l’aveva colpita rendendola zoppa. Ha trentatre anni, un marito che adora, tre figlie, un lavoro come giudice schierato dalla parte dei più deboli, e sta morendo.
Dall’incontro con Étienne, amico e collega di Juliette, anche lui passato attraverso l’esperienza della malattia, Carrère capisce che non può nascondersi per sempre: deve in qualche modo farsi carico di queste esistenze in un corpo a corpo con quell’informe che è la vita. Raccontare ciò che ci fa più paura. Ritrovare nelle vite degli altri, in ciò che ci lega, la propria. È quello che fa un testimone.
Nascono così questo libro e i ritratti dei personaggi che lo abitano: tra i più luminosi e commoventi della letteratura contemporanea.
Vini offerti da Tasca D’Almerita, sponsor di cultura.
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